Festa del Cinema di Roma 2024: trailer dei film fuori concorso della sezione “Grand Public”
Scopriamo tutti i film fuori concorso presentati nella sezione “Grand Public” della Festa del Cinema di Roma 2024 che includono i film da registi dei premi alla carriera di questa edizione Johnny Depp e Viggo Mortensen.
Continuiamo a scoprire i film della Festa del Cinema di Roma 2024 con i trailer e le sinossi ufficiali dei film fuori concorso. Oggi esploriamo la sezione Grand Public, con anteprime di film italiani e internazionali in una vetrina non competitiva dedicata alle proiezioni per il grande pubblico.
Festa del Cinema di Roma 2024 – Il programma della quinta giornata
Domenica 20 ottobre alle ore 18.30 presso la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, la Festa del Cinema di Roma ospiterà l’anteprima de Il treno dei bambini di Cristina Comencini. La regista e sceneggiatrice romana firma un film epico e struggente tratto dall’omonimo bestseller di Viola Ardone: un viaggio attraverso la miseria, ma anche la generosità dell’Italia del dopoguerra, vista dagli occhi di un bambino diviso tra due madri.
Alle ore 21.30, la Festa del Cinema e Alice nella città ospiteranno la proiezione di 100 di questi anni, in occasione del centesimo compleanno de l’Archivio Luce. Il film è un omaggio divertito allegro e variegato a un secolo di memoria audiovisiva composto da sette cortometraggi, diretti dai protagonisti della commedia italiana contemporanea: Michela Andreozzi, Massimiliano Bruno, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Francesca Mazzoleni, Rocco Papaleo e Sydney Sibilia.
Alle ore 16, sempre in Sala Sinopoli, si terrà l’incontro con Gael García Bernal che sarà alla Festa del Cinema 2024 in occasione della proiezione de La Máquina: l’attore ha coprodotto e interpretato la serie diretta da Gabriel Ripstein, incentrata sulla lotta per il riscatto personale, dove il pugilato diventa teatro di una battaglia tanto fisica quanto psicologica. I primi due episodi saranno presentati alle ore 18 presso il Teatro Studio Gianni Borgna.
Alle ore 16.30 la Sala Petrassi ospiterà la proiezione di Liliana di Ruggero Gabbai. Il documentario ripercorre la testimonianza della senatrice a vita Liliana Segre legata all’arresto, alla deportazione e allo struggente ultimo addio al padre. Il film mette in luce gli aspetti meno conosciuti della senatrice, facendo scoprire una figura culturale e politica moderna e appassionata nel trasmettere alle giovani generazioni un messaggio di libertà e uguaglianza.
Alle ore 19 in Sala Petrassi, il pubblico potrà assistere a The Trainer di Tony Kaye che dirige un commedia indie, grottesca e surreale, con un cast d’eccezione fra cui Vito Schnabel, Stephen Dorff, Gina Gershon, Berverly D’Angelo, Steven Van Zandt, Julia Fox, Lenny Kravitz, Paris Hilton e Gus Van Sant.
Alle ore 21.30 sempre in Sala Petrassi, sarà la volta di On Becoming a Guinea Fowl, secondo lungometraggio di Rungano Nyoni, premiato per la miglior regia a “Un Certain Regard” a Cannes 2024. Fin dalla prima sequenza – ipnotica, tragica e paradossalmente comica – l’autrice precipita lo spettatore in un mondo di cui probabilmente non sa nulla: ed è solo l’inizio di un viaggio nei segreti della classe media di un Paese africano, lo Zambia, che vive tra sogni di benessere e orrori rimossi.
Alle ore 20.30, il Teatro Studio Gianni Borgna ospiterà La Vallée des fous di Xavier Beauvois. Nel film il protagonista Jean-Paul, ristoratore in crisi e appassionato di vela, decide di partecipare a una regata virtuale, stando chiuso per ottanta giorni in una vera barca, piazzata però nel giardino di casa sua. Se vince, potrà risolvere molti suoi problemi; ma prima che gli altri concorrenti, deve affrontare i suoi demoni, a partire dall’amore per l’alcol.
Alle ore 15.30 presso il Teatro Studio Gianni Borgna, sarà proiettato McVeigh di Mike Ott. Il regista – ostinato indie americano sempre in cerca di frammenti di un’America provinciale e marginale (Littlerock, California Dreams, Actor Martinez) – ricostruisce l’ideazione e la pianificazione del più sanguinoso atto di terrorismo interno degli Stati Uniti, quello all’Alfred P. Murrah Federal Building di Oklahoma City, che fece 168 morti e più di 600 feriti.
Due gli eventi in programma domani, domenica 20 ottobre, al MAXXI.
Alle ore 16, Le Donne del Muro Alto – la compagnia di attrici ex detenute guidata dalla regista Francesca Tricarico – saranno protagoniste di una lezione spettacolo dedicata al cinema e al teatro in carcere. L’evento alternerà video di lavori nati in carcere a interventi teatrali estratti dagli spettacoli della compagnia e alle testimonianze delle attrici sulla loro esperienza teatrale e cinematografica dentro e fuori le mura detentive.
A partire dalle ore 18.30, il pubblico potrà assistere alla proiezione di Bellas Artes di Mariano Cohn e Martín Bustos, ritratto a tutto tondo del campionario umano che anima l’ambiente dell’arte moderna, raccontato in una miniserie in sei puntate di trenta minuti ciascuna.
Il programma del Teatro Olimpico ospiterà tre proiezioni della sezione Storia del Cinema. Alle ore 15.30, nell’ambito dell’omaggio ad Alain Delon, si terrà Borsalino di Jacques Deray, nella versione restaurata da Paramount Pictures. A seguire alle ore 18.15, il pubblico potrà assistere a Lo squalo – Jaws di Steven Spielberg, presentato nell’ambito della retrospettiva “Gocce di cinema”, organizzata dalla Fondazione Cinema per Roma in collaborazione con Acea. Alle ore 21, avrà luogo la proiezione di Pulp Fiction, capolavoro di Quentin Tarantino, introdotta da Gabriele Mainetti.
Alla Casa del Cinema, si terranno altri tre titoli della sezione Storia del Cinema.
Si inizierà alla ore 16.30 Chambre 212 di Christophe Honoré, valso a Chiara Mastroianni il premio come Miglior attrice protagonista nella sezione “Un Certain Regard” del Festival di Cannes. La protagonista, figlia di Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve, introdurrà la proiezione.
Alle ore 18.30, il regista Hind R. Boukli presenterà al pubblico il suo Dans la tête de Godard et de Beauregard, che esplora la lunga relazione tra il cineasta Jean-Luc Godard e Georges de Beauregard, produttore atipico, coraggioso e creativo di molti film leggendari della storia del cinema.
Infine, alle ore 20.15, sarà la volta di D’Est di Chantal Akerman, viaggio nell’Europa del ‘dopo-Muro’, un documento unico di un momento unico nella storia. Il film sarà presentato nella versione restaurata da Cinémathèque Royale de Belgique e Fondation Akerman.
La Festa del Cinema torna a collaborare con la Comunità di Sant’Egidio: domani, al Cinema Giulio Cesare, si terrà U.S. Palmese dei Manetti Bros., proiezione dedicata agli ospiti della Casa dei poveri del Papa. Palazzo Migliori è un palazzo nobiliare settecentesco che molti volevano diventasse un hotel di lusso: il Papa ha però fortemente voluto che fosse un hotel di lusso per i poveri. Da allora la casa di proprietà del Vaticano, affidata all’Elemosineria del Papa e gestita dalla Comunità di Sant’Egidio, accoglie ogni sera più di trenta poveri che in gran parte dormivano nei dintorni di San Pietro.
Domani, il programma di repliche al Cinema Giulio Cesare si aprirà in Sala 1 con due film: Titanus 1904 di Giuseppe Rossi alle ore 18.30 e The Return di Uberto Pasolini alle ore 20.30.
In sala 3, alle ore 14.30 saranno proiettati The Dead Don’t Hurt di Viggo Mortensen, alle ore 17 Eterno visionario di Michele Placido, alle ore 19.30 The Trainer di Tony Kaye e alle ore 21.45 On Becoming a Guinea Fowl di Rungano Nyoni. Unica proiezione per la Sala 7 sarà Blanket Wearer di Park Jeong-mi alle ore 16. Il programma delle repliche arriverà anche al Teatro Olimpico con la proiezione di Libre di Mélanie Laurent alle ore 12.
Festa del Cinema di Roma 2024 – I film della sezione “Grand Public”
“La casa degli sguardi” di Luca Zingaretti (Italia)
Il ventenne Marco (Gianmarco Franchini) ha una grande capacità di entrare in sintonia con il dolore del mondo, vorrebbe diventare un poeta, ma si sente bloccato da un disagio senza nome e si attacca troppo spesso alla bottiglia. Finalmente qualcuno riesce a scuoterlo dal suo torpore: sono i colleghi della cooperativa di pulizie dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, dove impara cos’è la vita vera. E al padre tramviere (Luca Zingaretti), onesto ma a volte incapace di comprenderlo, se ne aggiungerà un altro più ruvido, interpretato da Federico Tocci, che saprà metterlo in crisi. Ispirandosi all’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, Zingaretti esordisce alla regia, trovando l’immediatezza e la sincerità per raccontare diverse generazioni e mostrando la Roma di oggi dalla prospettiva di chi crede nel lavoro e nella scrittura – e decide di non mollare, malgrado tutto.
“Conclave” di Edward Berger (Stati Uniti, Regno Unito)
Una notte, un papa molto amato muore all’improvviso; il decano cardinale Lawrence deve organizzare e presiedere il conclave che eleggerà il nuovo pontefice, e i centodiciotto cardinali più potenti della chiesa cattolica si chiudono in Vaticano per le votazioni. Il rosso porpora degli abiti cardinalizi squarcia le architetture sontuose e rigorose e i bianchi, neri, grigi dei marmi vaticani: Lawrence deve destreggiarsi tra giochi di potere, intrighi, alleanze, e deve lui stesso scegliere tra una chiesa illuminata e una tradizionalista mentre un segreto emerge a poco a poco dagli ultimi atti del Papa. Dal bestseller del 2016 di Robert Harris, sceneggiato dallo stesso scrittore con Peter Straughan ( La talpa, Il cardellino ), un thriller inquietante e spiazzante, guidato dai dubbi di Ralph Fiennes nella parte di Lawrence e dalle personalità dirompenti di Stanley Tucci, John Lithgow e Sergio Castellitto. Breve ruolo-chiave per Isabella Rossellini.
“Eterno visionario” di Michele Placido (Italia, Belgio)
Dalle solfatare della Sicilia più arretrata a Stoccolma, dove vince il Nobel per la letteratura nel 1934: la vita di Luigi Pirandello è fatta di estremi, e anche ciò affascina Michele Placido. Che, ispirandosi alla biografia di Matteo Collura Il gioco delle parti, racconta l’inferno della vita famigliare (la moglie Antonietta Portulano, Valeria Bruni Tedeschi, rinchiusa in un manicomio) dell’autore di Sei personaggi in cerca d’autore e i suoi trionfi (ma anche le contestazioni e gli scandali) del palcoscenico, il sogno di un amore assoluto con Marta Abba (Federica Luna Vincenti) e il rapporto controverso con il fascismo. Placido si ritaglia la parte di Saul Colin, agente e collaboratore di Pirandello, e trova in Fabrizio Bentivoglio l’interprete congeniale di un artista che seppe capire la dissoluzione dell’identità dell’uomo novecentesco e descrivere quella gabbia di simulazioni che è la società.
“Fino alla fine” di Gabriele Muccino (Italia)
In vacanza con la sorella, la ventenne americana Sophie si appresta a trascorrere la sua ultima giornata a Palermo prima di ripartire per la California. L’incontro con Giulio e col suo gruppo di amici, però, finisce per coinvolgerla in una vicenda troppo grande per lei. E forse le cambierà per sempre l’esistenza. Sceneggiatore con Paolo Costella, Gabriele Muccino torna al cinema con un action movie stratificato: thriller, storia d’amore, racconto di sopravvivenza e redenzione. Ambientato nell’arco di ventiquattro ore, il film è anche una riflessione sul ruolo del destino, sul passaggio all’età adulta e sul peso delle scelte, e conta su un cast internazionale guidato dalla protagonista Elena Kampouris.
“Hey Joe” di Claudio Giovannesi (Italia)
A Napoli, nel 1944, le ragazze mezze nude chiamano i militari americani appena sbarcati: “Hey Joe!”. Qui Dean incontra Lucia e s’innamora di lei, ma poi è costretto a partire. Nel 1971, nella cittadina del New Jersey nella quale vive, Dean riceve una lettera spedita da Napoli tredici anni prima: Lucia è morta e il loro figlio Enzo ha dodici anni. E torna in Italia per incontrare un venticinquenne riottoso e legato alla malavita. Solido, costruito come un melodramma a forte sfondo sociale, diretto da Claudio Giovannesi (anche sceneggiatore, insieme a Maurizio Braucci, con cui aveva già collaborato per La paranza dei bambini ), Hey Joe scorre fluido, attento al pathos della narrazione come alla forza evocativa dei paesaggi, sempre in equilibrio tra i suoi due personaggi, il padre James Franco e il figlio Francesco Di Napoli.
Libre di Mélanie Laurent (Francia)
Un noir d’azione, un poliziesco picaresco, con colori e ritmi del grande cinema degli anni Settanta, per raccontare una storia vera, quella di Bruno Sulak (Lucas Bravo): un rapinatore gentiluomo che evita spargimenti di sangue, all’epoca paragonato dalla stampa ad Arsenio Lupin; un fuorilegge che beffa la polizia con la sua vitalità e la sua voglia di libertà. Gli dà la caccia l’ostinato commissario Moréas (Yvan Attal), che però finisce per rispettarlo. Bruno riesce a più riprese a evadere dalle prigioni in cui viene rinchiuso, per ritrovare Annie (Léa Luce Busato), sua compagna e partner nelle sue avventure criminali. Finché qualcosa va storto: e qui la verità ufficiale diverge da come, molto probabilmente, sono andate le cose.
“Longlegs” di Oz Perkins (Stati Uniti)
A una giovane agente dell’FBI che rivela particolari talenti (para)psicologici viene assegnato un vecchio
caso irrisolto: una brutale serie di omicidi e suicidi famigliari disseminati in tutto lo stato dell’Oregon. Lee indaga, riceve una visita misteriosa, forse ricorda, collega eventi, decodifica messaggi. Scritto e diretto dal figlio di Anthony Perkins, Osgood, a sua volta attore e apprezzato regista di horror ( February, Gretel e Hansel ), Longlegs riesce a fondere indagini, cold case, bambole sataniche, serial killer, soprannaturale, codici enigmistici, follia e ossessioni famigliari senza per questo strafare, deragliare, ma restando lineare ed efficacissimo. L’eroe eponimo, Longlegs, è tratteggiato con toni bizzarri, feroci, isterici, ironici, istrionici da Nicolas Cage, risorto a nuova, notevole carriera horror fin dal 2018 con Mandy. La giovane agente è invece Maika Monroe, scream queen anni 2000 fin da It Follows.
“Mani nude” di Mauro Mancini (Italia)
Una notte, all’improvviso, il diciottenne Davide viene rapito e rinchiuso nella buia centina di un camion, dove si trova costretto a lottare con uno sconosciuto e a ucciderlo a mani nude. Il suo rapitore, Minuto, diventa per lui un padre putativo, lo allena a lottare e lo fa entrare in un circuito di combattimenti clandestini organizzati per appagare la sete di sangue degli spettatori. Solo l’amore, forse, potrà salvarlo. Dopo Non odiare, Mauro Mancini continua a raccontare le radici della violenza e a scavare con inedita complessità nelle ferite dell’animo umano. Ad aiutarlo ci sono la fotografia di Sandro Chessa, che immerge la vicenda in luci d’acquario, e un cast di prim’ordine, sia per quanto riguarda i giovani e bravissimi Francesco Gheghi e Fotinì Peluso sia per i veterani come Alessandro Gassmann e Renato Carpentieri.
“La gazza ladra (La pie voleuse)” di Robert Guédiguian (Francia)
Cos’è la felicità per Maria (Ariane Ascaride)? Mangiare ostriche ascoltando Rubinstein che suona Liszt, davanti
al mare di Marsiglia. Lei è l’amorevole badante di alcuni anziani, e sogna che suo nipote diventi un pianista. Per pagargli le lezioni non esita a rubare soldi ai suoi assistiti, convinta di non fare nulla di male. Quando la cosa verrà a galla, le conseguenze porteranno il caos in tre famiglie. Guédiguian ritrova i suoi attori del cuore in un film dagli sviluppi imprevisti, solare e anche carnale come solo lui sa fare. E dove, questa volta, riflette non sui massimi sistemi ma sulle debolezze della vita quotidiana, gli errori e le illusioni – a cominciare da quelle dell’amore.
“Sharp Corner” di Jason Buxton (Canada, Irlanda)
Josh e Rachel, lui dirigente d’azienda lei psicologa, decidono di trasferirsi con il loro bambino dalla città a una bella casa più grande in campagna. Ma la prima notte della loro permanenza un teenager muore schiantandosi con la moto nella curva stretta della strada di fronte alla casa. Rachel vorrebbe andarsene, ma Josh, anche se gli incidenti di susseguono, insiste per restare, e quella curva e quei morti diventano per lui un’ossessione. Thriller psicologico a fuoco lento, Sharp Corner si fa sempre più disturbante via via che cresce e si fa più ambigua la mania di Josh. Notevole l’interpretazione di Ben Foster ( Six Feet Under , Hell or High Water , Angel in X Men , The Program ), che lavora sulle sfumature intime e sul passato del suo personaggio. Con lui, Cobie Smulders, la Maria Hill di Avengers . Basato su un racconto del giornalista Russell Wangersky, è il secondo lungometraggio del regista canadese Jason Buxton, vincitore di vari premi con il film d’esordio Blackbird.
IN COPRODUZIONE CON ALICE NELLA CITTA’:
“Blitz” di Steve McQueen (Stati Uniti)
Durante la seconda guerra mondiale, la londinese Rita (Saoirse Ronan) decide di mandare il figlio George in campagna, convinta così di proteggerlo dalle bombe e dalla distruzione. Ma il bambino, che ha solo nove anni ma uno spirito indomito, decide d’intraprendere da solo il viaggio verso casa. Generando, a sua insaputa, una reazione a catena. Dopo aver raccontato la dominazione nazista dell’Olanda in un capolavoro come Occupied City, il regista premio Oscar Steve McQueen continua il suo braccio di ferro con la Storia. E gira un film che è al contempo una celebrazione dello spirito resiliente della classe operaia della capitale inglese e una riflessione universale sulla lotta per la sopravvivenza in tempo di crisi, costruita sul confronto tra innocenza e barbarie. Tutto commentato dalle vibranti musiche di Hans Zimmer.
“Il ragazzo dai pantaloni rosa” di Margherita Ferri (Italia)
Il film di Margherita Ferri racconta uno dei primi casi riconosciuti di cyberbullismo: quello di Andrea Spezzacatena, spinto a compiere un gesto irreparabile dalle canzonature dei compagni su Facebook. Galeotti furono un paio di pantaloni la cui stoffa scolorita dal lavaggio aveva assunto una colorazione rosa: Andrea decise d’indossarli egualmente in barba alle possibili reazioni di chi è ancora prigioniero di fragili stereotipi sociali basati sul mito dell’apparenza. Sorretta da un cast in stato di grazia (Claudia Pandolfi si affianca ai giovani Samuele Carrino, Sara Ciocca e Andrea Arru), l’opera affronta temi delicati (non solo gli abusi psicologici ma anche l’omertà di chi dovrebbe invece proteggere i ragazzi offesi) senza mai eccedere nel patetismo e nella retorica, affidandosi soltanto alla forza dei sentimenti.
“The Return – Il ritorno” di Uberto Pasolini (Francia, Grecia, Italia, Regno Unito)
Nella sua rilettura affascinante dell’ Odissea, Uberto Pasolini riunisce Ralph Fiennes e Juliette Binoche, già protagonisti de Il paziente inglese. Lo stile classico abbraccia la forza epica della storia; la macchina da presa sta agganciata ai volti dei suoi due interpreti; i loro sguardi e le loro parole densi di pathos restituiscono il senso profondo di un mito intramontabile. The Return inizia con il naufragio di Ulisse sulle coste di Itaca, dopo oltre vent’anni di assenza trascorsi in guerra. La sua regina, Penelope, lo ha atteso con pazienza, mentre il loro figlio Telemaco rischia la morte per mano dei pretendenti che ambiscono al trono. La storia è nota, gli attori magnifici, il racconto epico, ma lo spirito sembra suggerire nuove chiavi di interpretazione delle pagine immortali di Omero: il ritorno non colma il vuoto lasciato da lunghi anni di assenza ma porta con sé i traumi e i conflitti di un passato lontano.
“Saturday Night” di Jason Reitman (Stati Uniti)
Si facevano chiamare “The not ready for prime time players” (gli artisti non pronti per il prime time); erano Chevy Chase, Dan Aykroyd, John Belushi, Gilda Radner, Jane Curtain, Laraine Newman, Garrett Morris, ai quali vanno aggiunti i tanti ospiti speciali, da Billy Crystal a Jim Henson e, scrittori, truccatori, costumisti, tecnici, musicisti e, su tutti, il produttore trentenne Lorne Michaels, che inventò uno degli show televisivi più rivoluzionari del mondo, andato in onda per la prima volta sulla Nbc l’11 ottobre del 1975: il Saturday Night Live. Jason Reitman ( Juno, Tra le nuvole, Ghostbusters: Legacy ) ricostruisce i 90 minuti frenetici che precedono la prima puntata, stando addosso a Michaels (Gabriel LaBelle, il protagonista di The Fabelmans ), stretto tra i costumi non pronti, le luci che cadono, l’ego degli attori, i dubbi dei produttori, mentre il tempo passa inesorabile. Una commedia demenziale che corre come un thriller.
“Storia di una notte” di Paolo Costella (Italia)
La vita può essere sconvolta da un solo istante. A scoprirlo sulla sua pelle è la famiglia di Piero ed Elisabetta, costretta a fare i conti con le conseguenze di un incidente che ha portato via il primogenito Flavio. Quando, trascorsi due anni, il figlio più piccolo, Denis, rovina a terra sciando durante una vacanza a Cortina e deve perciò essere operato, ecco che i fantasmi del passato si ripresentano. L’inverno non è solo una delle quattro stagioni astronomiche ma anche un luogo dell’anima: lo mostra la sceneggiatura che Paolo Costella ha scritto con Tania Pedroni, dove il freddo e il silenzio diventano metafore del dolore e della perdita. Tratto dal romanzo Nelle migliori famiglie di Angelo Mellone, un delicato intreccio d’emozioni che diventa una riflessione sul lutto e sulla necessità di rialzarsi. Impreziosita dalle interpretazioni di un cast composto, tra gli altri, da Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Luigi Diberti e Stefania Casini.
“Supereroi” di Stefano Chiantini (Italia, Francia)
Alvaro e Jenny sono padre e figlia. Lui è un camionista, lei una giovane promessa del nuoto. Il loro rapporto si è incrinato dopo che Alvaro ha lasciato Margherita, la madre di Jenny. Quando però l’uomo viene colpito da un malore improvviso, ad assisterlo sarà proprio la figlia, rivitalizzando il loro legame e rianimando il loro amore. Il sacrificio, la rinuncia, il conflitto famigliare e generazionale, il perdono, la guarigione fisica e la redenzione morale: Stefano Chiantini ripropone i temi forti del suoi film precedenti ( Isole, Naufragi, Storie sospese ) e ne realizza una sintesi commovente e mai ricattatoria. Un film delicato e malinconico ma senza rassegnazione, che i due protagonisti (Edoardo Pesce e la rivelazione Sara Silvestro) esaltano con le loro interpretazioni.
“Il treno dei bambini” di Cristina Comencini (Italia)
1946. Amerigo ha otto anni e non si è mai allontanato da Napoli e da sua madre Antonietta. Il suo mondo, fatto di strada e povertà, però sta per cambiare. A bordo di uno dei “treni della felicità” passerà l’inverno al nord, dove una giovane donna, Derna, lo accoglierà e si prenderà cura di lui. Accanto a lei Amerigo acquista una consapevolezza che lo porta ad una scelta dolorosa che cambierà per sempre la sua vita. Gli serviranno molti anni per scoprire la verità: chi ti ama non ti trattiene, ma ti lascia andare. Dal bestseller di Viola Ardone un film epico e struggente. Un viaggio attraverso la miseria, ma anche la generosità dell’Italia del dopoguerra, vista dagli occhi di un bambino diviso tra due madri.
“U.S. Palmese” di Manetti Bros. (Italia)
Palmi: cittadina nell’area metropolitana di Reggio Calabria, 18.000 abitanti, una squadra di calcio, la U.S. Palmese, quattro volte in serie C e ventuno in serie D. Ma un giorno a un tifoso viene in mente di fare una colletta in paese per ingaggiare Etienne Morville, giovane campione francese di colore che viene dalla banlieu parigina e che ha un carattere tanto brutto da essere stato cacciato dal Milan. Parte dall’esuberante entusiasmo di Rocco Papaleo, che va in giro con il suo Ape a lanciare volantini e raccogliere firme per le donazioni, la commedia sportivo-romantica dei Manetti Bros. ambientata a Palmi, con digressioni a Milano e a Parigi, dove caratteri, sport, amore, affetti, difetti, ripicche e dispetti collidono e finiscono per rimescolarsi e trovare un equilibrio. Nel cast Claudia Gerini, Massimiliano Bruno e i giovani Blaise Alfonso e Giulia Maenza.
“La Vallée des fous” di Xavier Beauvois (Francia)
Normandia: Jean-Paul, ristoratore in crisi e appassionato di vela, decide di partecipare a una regata virtuale, stando chiuso per ottanta giorni in una vera barca: piazzata però nel giardino di casa sua. Se vince, potrà risolvere molti suoi problemi; ma prima che gli altri concorrenti, deve affrontare i suoi demoni, a partire dall’amore per l’alcol. In una provincia francese che diventa subito glocal, il reale si mescola con il virtuale: ma nulla può sostituire gli scontri famigliari e i piaceri della tavola. Beauvois trova la suspense e l’agonismo del film sportivo in un contesto inedito. E non guarda mai dall’alto al basso il suo antieroe folle, disperato e malgrado tutto ottimista. Le musiche originali sono di Pete Doherty (che in Normandia è andato a vivere). Nel cast si rivede con piacere Pierre Richard.
“We Live in Time” di John Crowley (Regno Unito)
Dieci anni nella vita di una coppia, nata per caso (o per incidente), magnifica e diversa: Tobias un po’ depresso dopo un divorzio, e Almut, una chef vitalissima. Incontro, attrazione, sesso, matrimonio, gravidanza, malattie e gli altri alti e bassi della vita che vanno e vengono durante questi dieci anni, non lineari, ma intrecciati dalla sceneggiatura abilissima del drammaturgo Nick Payne. Alchimia istantanea tra Florence Pugh e Andrew Garfield, che paiono nati l’una per l’altro, naturali, veri, star scintillanti di una rinata romantic comedy che sa fondere il dramma con momenti di quotidiana, irresistibile comicità, la tenerezza, il dolore, l’orgoglio, la maldestrezza. Dirige John Crowley, tante regie teatrali e, per il cinema, Boy A e Brooklyn.
“The Dead Don’t Hurt (I morti non feriscono)” di Viggo Mortensen (Stati Uniti)
Ambientato a metà Ottocento, The Dead Don’t Hurt (secondo film di Viggo Mortensen come regista e sceneggiatore dopo Falling – Storia di un padre ) è un raffinato western femminista con protagonisti lo stesso Mortensen e Vicky Krieps nei panni di due immigrati che cercano di costruirsi una vita in una cittadina corrotta del Nevada. Vivienne, una fioraia franco-canadese, indipendente e ribelle, vede la sua vita stravolta quando il suo compagno si unisce alla guerra civile. Rimasta sola, deve affrontare le violente attenzioni indesiderate del figlio di un potente allevatore locale. Con una struttura narrativa che alterna passato e presente, tra paesaggi mozzafiato e interpretazioni eccellenti, Mortensen si serve del western per restituirci il ritratto appassionato di una donna forte e determinata.
Modì – Tre giorni sulle ali della follia di Johnny Depp (Ungheria, Italia, Regno Unito)
Non un biopic, ma solo 72 ore nella vita di Amedeo Modigliani, Modì per i francesi: nel 1916, il pittore è in fuga dalla polizia, a Parigi; vorrebbe abbandonare la città dove è vissuto a lungo, mentre gli amici Utrillo e Soutine e la musa Beatrice Hastings cercano di convincerlo a restare e a continuare a dipingere. Attraverso una notte di allucinazioni e di incontri, con l’amico mercante d’arte e con un collezionista americano, la sua storia cambia. Il progetto, basato sulla commedia Modigliani di Dennis McIntyre, nasce decenni fa, proposto ad Al Pacino, rimandato, sospeso, dimenticato, ritornato con Johnny Depp alla regia, Pacino tra i produttori e nei panni del collezionista, Mary e Jerzy Kromolowski alla sceneggiatura e Riccardo Scamarcio protagonista.
Fonte: RomaCinemaFest